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Strage di Capaci: esposta la teca della “Quarto Savona 15”
Questa mattina piazza Palazzo di Città era gremita di cittadini e tanti giovani studenti che hanno assistito alla cerimonia dello svelamento della teca con la carcassa della Fiat Croma “Quarto Savona 15”, una delle auto saltate in aria il 23 maggio 1992 nell’attentato della mafia sull’autostrada a Capaci, alle porte di Palermo, nel quale morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
All’evento – organizzato dall’associazione Donatori Nati, assieme alla Città a di Torino e la Prefettura, per l’iniziativa “Dal sangue versato al sangue donato” – ha partecipato Tina, moglie di Montinaro, che negli anni ha deciso di diventare una “testimonianza vivente” per gli studenti e le nuove generazioni.
A rappresentare la Città di Torino era presente la vicesindaca Michela Favaro che nel suo intervento ha sottolineato come «La lotta alla mafia non è cessata: la criminalità è ancora presente nel nostro territorio. Momenti come questi ci aiutano a non abbassare mai la soglia di attenzione. Oggi lascio due impegni: raccogliere il sacrificio di coloro che sono morti nella strage di Capaci e tutti insieme costruire un mondo più giusto».
Al termine della cerimonia in piazza, una rappresentanza di studenti delle classi quinte degli Istituti Avogadro, D’Azeglio e Volta, si sono ritrovati nella sala delle Colonne per ascoltare l’emozionante e commovente racconto di Tina Montinaro, che ha definito suo marito un uomo coraggioso, entusiasta del suo lavoro e devoto a Giovanni Falcone.
Nel suo appassionato intervento, la Montinaro, ha voluto lanciare un messaggio chiaro: «Non siate indifferenti, perché la mafia ce l’abbiamo anche qui. L’indifferenza dà il consenso e voi non lo dovete dare. Mio marito era consapevole di cosa sarebbe potuto accadere e l’ha fatto senza fare un passo indietro. Antonio mi ha insegnato tanto: aveva un grande senso del dovere e a camminare con la schiena dritta. Siccome sono orgogliosa di Antonio e delle sue scelte, metto da parte il mio dolore per le nuove generazioni perché è questo che bisogna insegnare ai ragazzi. Quando guardo quella teca che era esposta in piazza, la guardo ma non la vedo, perché lì ci sono ancora i resti di mio marito, di Vito e di Rocco: c’è la mia famiglia. È la tomba di mio marito».
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